Condor Aguzzoli (1964)
Inviato: 25 feb 2014 17:06:41
Per comodità riporto l'articolo dedicato da Automobilismo d'epoca alla vettura e alla sua affascinante storia,prima di inserire le foto.
L’idea del prototipo nacque a Parma dall’entusiasmo di Luigi Bertocco, ex collaudatore della Ferrari, e di Giovanni e Sergio Aguzzoli, padre e figlio, ricchi commercianti di salumi e concessionari dell’Alfa Romeo a Parma per passione delle automobili. Fu però a Modena che l’idea iniziò a concretizzarsi materialmente. La grande novità del prototipo doveva essere il motore posteriore-centrale, all’epoca del tutto nuovo per una biposto italiana. Alla fine degli anni Cinquanta gli inglesi avevano riscoperto questa disposizione meccanica per le monoposto. Nel 1960 Enzo Ferrari aveva cambiato idea sui “buoi che tirano il carro, non lo spingono”, l’anno dopo la Ferrari 156 aveva vinto il campionato del mondo Formula 1 e l’impresa aveva legittimato il motore posteriore-centrale in Italia, ma per i costruttori nostrani una concezione di questo tipo era ancora tutta da scoprire. Con grande coraggio Luigi Bertocco e gli specialisti modenesi Giorgio Neri e Luciano Bonacini, provenienti dal disciolto reparto corse della Maserati, realizzarono il telaio tubolare destinato a ospitare il motore Alfa Romeo Giulietta SZ , fornito dagli Aguzzoli, e un cambio Citroën ERSA, quello della Citroën ID 19 a trazione anteriore girato di 180° e modificato per le monoposto inglesi.
L’ambiente delle corse modenese seguì con interesse ogni fase della realizzazione, anche perché l’esperienza alla fine sarebbe andata a vantaggio di tutti. Ospiti illustri visitarono l’officina di Neri e Bonacini, fra questi gli ingegneri Franco Rocchi e Walter Salvarani della Ferrari, che offrirono la loro consulenza, e l’allora giovanissimo Giampaolo Dallara, che osservò con attenzione, parlò poco e fece tesoro di ciò che vide. Ci fu anche uno sprovveduto che trovò da ridire sulla qualità dei tubi impiegati: “Tubo da acqua - sentenziò – roba da poveri”. Invece Neri e Bonacini sapevano benissimo ciò che facevano. Se avessero impiegato tubi di più nobile lega avrebbero aggravato il problema delle tensioni nei punti delle saldature, invece l’acciaio povero, deformandosi, avrebbe assorbito le tensioni e quindi evitato le rotture.
Fra chi si interessò all’impresa ci fu anche la direzione dell’Alfa Romeo, o almeno una parte di essa. La Casa del Biscione stava attraversando un momento d’euforia che risvegliò il desiderio di tornare alle corse, ma senza distrarre energie dalla produzione, quindi appoggiandosi a un collaboratore esterno. Il concessionario di Parma poteva essere un candidato. La carrozzeria del prototipo fu realizzata a Modena, da Piero Drogo, titolare della Sport Car. L’auto completa fu pronta per le prove nell'autunno 1963. Fu battezzata Aguzzoli dal nome della concessionaria e Condor dal soprannome di Sergio Aguzzoli. La collaudò Luigi Bertocco sull’autodromo di Modena con risultati incoraggianti. Ciò spinse i costruttori a iscriverla alla Coppa Fisa, in programma a Monza il 14 novembre 1963. La storia ricorda questa gara perché segnò il debutto delle Alfa Romeo Giulia TZ . Per l’occasione erano presenti molti tecnici dell’Alfa Romeo. Il pilota designato a guidare la Condor, all’ultimo momento decise di pilotare una Giulia TI Super della Scuderia Sant’Ambroeus. Nonostante la mancata partenza, la Condor attirò l’attenzione dei dirigenti del Reparto Esperienze dell'Alfa Romeo. L'ingegner Nicolis e i suoi collaboratori ne ammirarono la meccanica. Tantò bastò perché un giornalista presente riferisse che l’Alfa Romeo era sul punto di attrezzare presso la Aguzzoli un reparto corse per sviluppare la Condor. Nella realtà i giochi erano già fatti. Nel tempo trascorso fra l’avvio della costruzione della Condor e il suo completamento, l’Alfa Romeo aveva trovato il partner esterno che cercava: la Autodelta, fondata allo scopo dall’ing. Carlo Chiti e dai fratelli Chizzola, concessionari Alfa Romeo di Udine. In teoria l’accordo con l’Autodelta avrebbe dovuto fermare l’avventura della Condor Aguzzoli.
Non fu così perché un altro autotelaio era già pronto per sviluppare una nuova vettura che rappresentasse un passo avanti rispetto alla precedente.
L’idea del prototipo nacque a Parma dall’entusiasmo di Luigi Bertocco, ex collaudatore della Ferrari, e di Giovanni e Sergio Aguzzoli, padre e figlio, ricchi commercianti di salumi e concessionari dell’Alfa Romeo a Parma per passione delle automobili. Fu però a Modena che l’idea iniziò a concretizzarsi materialmente. La grande novità del prototipo doveva essere il motore posteriore-centrale, all’epoca del tutto nuovo per una biposto italiana. Alla fine degli anni Cinquanta gli inglesi avevano riscoperto questa disposizione meccanica per le monoposto. Nel 1960 Enzo Ferrari aveva cambiato idea sui “buoi che tirano il carro, non lo spingono”, l’anno dopo la Ferrari 156 aveva vinto il campionato del mondo Formula 1 e l’impresa aveva legittimato il motore posteriore-centrale in Italia, ma per i costruttori nostrani una concezione di questo tipo era ancora tutta da scoprire. Con grande coraggio Luigi Bertocco e gli specialisti modenesi Giorgio Neri e Luciano Bonacini, provenienti dal disciolto reparto corse della Maserati, realizzarono il telaio tubolare destinato a ospitare il motore Alfa Romeo Giulietta SZ , fornito dagli Aguzzoli, e un cambio Citroën ERSA, quello della Citroën ID 19 a trazione anteriore girato di 180° e modificato per le monoposto inglesi.
L’ambiente delle corse modenese seguì con interesse ogni fase della realizzazione, anche perché l’esperienza alla fine sarebbe andata a vantaggio di tutti. Ospiti illustri visitarono l’officina di Neri e Bonacini, fra questi gli ingegneri Franco Rocchi e Walter Salvarani della Ferrari, che offrirono la loro consulenza, e l’allora giovanissimo Giampaolo Dallara, che osservò con attenzione, parlò poco e fece tesoro di ciò che vide. Ci fu anche uno sprovveduto che trovò da ridire sulla qualità dei tubi impiegati: “Tubo da acqua - sentenziò – roba da poveri”. Invece Neri e Bonacini sapevano benissimo ciò che facevano. Se avessero impiegato tubi di più nobile lega avrebbero aggravato il problema delle tensioni nei punti delle saldature, invece l’acciaio povero, deformandosi, avrebbe assorbito le tensioni e quindi evitato le rotture.
Fra chi si interessò all’impresa ci fu anche la direzione dell’Alfa Romeo, o almeno una parte di essa. La Casa del Biscione stava attraversando un momento d’euforia che risvegliò il desiderio di tornare alle corse, ma senza distrarre energie dalla produzione, quindi appoggiandosi a un collaboratore esterno. Il concessionario di Parma poteva essere un candidato. La carrozzeria del prototipo fu realizzata a Modena, da Piero Drogo, titolare della Sport Car. L’auto completa fu pronta per le prove nell'autunno 1963. Fu battezzata Aguzzoli dal nome della concessionaria e Condor dal soprannome di Sergio Aguzzoli. La collaudò Luigi Bertocco sull’autodromo di Modena con risultati incoraggianti. Ciò spinse i costruttori a iscriverla alla Coppa Fisa, in programma a Monza il 14 novembre 1963. La storia ricorda questa gara perché segnò il debutto delle Alfa Romeo Giulia TZ . Per l’occasione erano presenti molti tecnici dell’Alfa Romeo. Il pilota designato a guidare la Condor, all’ultimo momento decise di pilotare una Giulia TI Super della Scuderia Sant’Ambroeus. Nonostante la mancata partenza, la Condor attirò l’attenzione dei dirigenti del Reparto Esperienze dell'Alfa Romeo. L'ingegner Nicolis e i suoi collaboratori ne ammirarono la meccanica. Tantò bastò perché un giornalista presente riferisse che l’Alfa Romeo era sul punto di attrezzare presso la Aguzzoli un reparto corse per sviluppare la Condor. Nella realtà i giochi erano già fatti. Nel tempo trascorso fra l’avvio della costruzione della Condor e il suo completamento, l’Alfa Romeo aveva trovato il partner esterno che cercava: la Autodelta, fondata allo scopo dall’ing. Carlo Chiti e dai fratelli Chizzola, concessionari Alfa Romeo di Udine. In teoria l’accordo con l’Autodelta avrebbe dovuto fermare l’avventura della Condor Aguzzoli.
Non fu così perché un altro autotelaio era già pronto per sviluppare una nuova vettura che rappresentasse un passo avanti rispetto alla precedente.