Accompagno alcune immagine della superba 412014 con un racconto di Phil Hill tratto da Road & Track e riproposto da Quattroruote nel numero di Luglio 1991. E' un po' lungo ma credo che valga la pena di leggerlo; l'ultima parte poi fa davvero venire i brividi.
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E' stata la più bella macchina da me posseduta, quella che rimpiango di più. Un rimpianto, dicono certi amici maligni, dovuto al fatto che oggi un'Alfa Romeo 8C 2900 B vale, addirittura, qualche miliardo. Io la comprai nel 1950 dalla scuderia di Tommy Lee. La macchina era in buone condizioni. Aveva numero di telaio 412030 ed era uno di quegli splendidi esemplari con carrozzeria Touring preparati per la Mille Miglia del 1938. Più precisamente, la mia 8C era quella con cui gareggiò Mario Pintacuda, che arrivò secondo assoluto. Posso dire di essermi fatto le ossa su questa gagliarda macchinona, che fra le sportive d'anteguerra reputo la migliore. So che questa affermazione può dar fastidio ai sostenitori della Bugatti, della Bentley o della Mercedes. Ma io ribadisco: per me non ce n'era una che valesse la 8C 2900 B.
Eppure, questo mio grande amore non mi impedì di separarmi da lei. Fu quando comprai la mia prima Ferrari. L'Alfa, sebbene favolosa, era pur sempre una macchina di prima della guerra e io, pilota giovane e desideroso di affermarmi, avevo bisogno di un mezzo più moderno. Pilota giovane e squattrinato, non ero certo in condizione di mantenere due macchine da corsa. Per pagarmi un po' della Ferrari fui costretto a vendere l'Alfa Romeo. Per pochi dollari! A pensarci oggi...mi viene in mente un mio amico italiano, Nando Pagliarini, pilota gentlemen, che incontrai l'anno scorso all'asta di Christie's a Montecarlo, dove quella che era stata la sua Ferrari GTO venne venduta per 13 miliardi di lire. Pagliarini l'aveva comprata nuova nel 1962, l'aveva usata in alcune gare e poi, circa un anno dopo, dovendo partire per il Canada, l'aveva venduta. Mi disse che all'epoca si era ritenuto fortunato perchè era riuscito a vendere la sua Ferrari, già “vecchia” di un anno, rimettendoci pochissimo rispetto a quanto l'aveva pagata da nuova, circa 7 milioni di lire. E adesso era lì a Montecarlo, nella speranza di poterla almeno toccare.
La mia Alfa non so che fine abbia fatto. So però che 2 anni fa il Museo dell'Alfa Romeo ha ceduto al collezionista inglese Mike Sparken un'Alfetta 158/159 in cambio di una 8C 2900 B. Fateci un po' i conti, considerando che quell'Alfetta ha un valore inestimabile essendo l'unico esemplare, dei 6 costruiti, in mano a un privato.
Messi da parte i rimpianti, parliamo ora di questa 8C. L'esemplare che vedete qui fotografato ha numero di telaio 412014, è del 1937 e venne commissionato all'Alfa Romeo da un americano, Halley McClure, di Brooklyn, che lo ritiro personalmente dalla fabbrica. In tutto furono costruite 33 8C 2900 B. A queste vanno aggiunte 10 8C 2900 A, per un totale di 43 esemplari. La vettura di Halley McClure, che è ora di proprietà del notissimo (e fortunatissimo) collezionista John Mozart, di Los Altos Hills, a sud di San Francisco, è a passo corto e ha una splendida carrozzeria della Touring Superleggera. In base al numero di telaio si deduce che questa è la 14a 8C 2900 costruita (la mia era la 30a, 1938, più giovane di un anno). Probabilmente l'esemplare di queste pagine è stato anche il primo con carrozzeria Touring. Quelli precedenti erano carrozzati direttamente dall'Alfa Romeo. Erano anch'essi molti belli, ma la Touring aggiunse sicuramente un tocco di buon gusto.
Forse l'avvio della stretta collaborazione tra l'Alfa e la Touring per le carrozzerie della serie 8C 2900 fu dato proprio dalle particolari esigenze del cliente americano, che voleva una macchina davvero speciale. Sta di fatto che la Touring gli realizzò questa stupenda carrozzeria, secondo lo stile Flying Star (Stella Volante). A guardarla oggi si resta davvero senza fiato. I piccoli tratteggi sulle parti rifinite in metallo lucido, volute espressamente da McClure, sembrano i ceselli di un fucile Beretta. Il vano motore sembra uno scrigno, con quel grosso ed eccitante gioiello al centro che è il motore a 8 cilindri in linea. Di gusto squisito anche il cruscotto di legno, con modanature pure di legno. Sempre bella la tradizionale strumentazione Alfa, con tachimetro e contagiri di grosse dimensioni. Nel 1988 questa macchina ha conquistato il primo premio al concorso d'eleganza “America's Best of Show” a Pebble Beach.
Intendiamoci: anche se ho descitto questo esemplare in termini sinceramente entusiastici, per me le più belle 8C 2900 B restano quelle da competizione coma la mia. Avevano una linea più aggressiva, più affascinante, ma erano anch'esse carrozzate da Touring e il merito, come ho detto prima, è forse quello di McClure e di tutte le sue pretese. Pensate si accampò fuori dei cancelli dell'Alfa Romeo per protestare contro il ritardo nella consegna e non se ne andò prima di aver avuto in mano la vettura. La sua rabbia svanì dopo i primi chilometri e, una volta tornato a Brooklyn, scrisse una lettera entusiasta alla rivista inglese Autocar.
E' vero che la Touring contribuì non poco al successo di queste macchine, ma il loro pregio fondamentale, prima ancora della bellezza, era un'ineguagliabile impostazione tecnica. Il tutto era dovuto a quel grand'uomo di Vittorio Jano. Tutti i suoi sforzi e il suo talento sembravano aver trovato la massima espressione nella 8C 2900.
Cominciamo dal motore, un capolavoro, con soluzioni moderne, come il blocco cilindri e la testata in lega di alluminio, il doppio asse a camme in testa, le camere di scoppio emisferiche. Per realizzare l'8 cilindri in linea, Jano era partito da una coppia di monoblocchi a 4 cilindri, separati da un treno di ingranaggi che, prendendo il moto dal centro dell'albero motore, azionavano i 2 assi a camme e i 2 compressori volumetrici. Ognuno dei 2 compressori era alimentato da un proprio carburatore Weber. La potenza effettiva è questione insoluta, data la singolarità di ogni esemplare.
Secondo la Casa, comunque, la prima versione, 8C 2900 A (in pratica si trattava della biposto stradale derivata della monoposto da Gran Premio P3), aveva una potenza di 220 cv (contro i 255 della P3). Il motore venne poi addolcito nelle 8C 2900 B, la cui potenza era di 180 cv, ma le versioni per la Mille Miglia, come la mia, denunciavano 225 cv.
Il cambio di velocità, a 4 marce, aveva la peculiarità delle posizioni di innesto rovesciate, con la prima in alto a destra, forse perchè la scatola, montata sul differenziale, aveva la “faccia” rivolta all'indietro.
Nettamente superiore alla concorrenza era la tenuta di strada, grazie all'ottimo lavoro delle sospensioni a 4 ruote indipendenti. Uno schema poco diffuso per quell'epoca e di difficile messa a punto per una macchina di quella potenza. Ma all'Alfa c'erano riusciti e la sinergia tra assale anteriore e retrotreno era perfetta. Guidare quella macchina era un vero piacere.
Una sera del 1950 io e mio fratello Jerry andammo a trovare un nostro amico della Marina, che era di stanza a Oxnard, a nord di Los Angeles. Io avevo appena finito di mettere a punto la 8C per la corsa di Peabble Beach del giorno dopo. Quel viaggetto mi serviva anche da collaudo. Partimmo a tarda ora, con la luna e col traffico ormai inesistente. La strada, a doppia corsia, si snodava larga e scorrevole lungo la costa.
Lanciai l'Alfa al massimo.
Io avevo 23 anni e mio fratello 2 di meno. Se ripenso all'immagine di quei due ragazzi che volavano a oltre 200 all'ora, col vento nei capelli, fra profumi di olio caldo, di gomma bruciata e con l'accompagnamento di quell'orchestra a 8 cilindri e due compressori, mi vengono i brividi ancora adesso.
Quella sera provai una delle più inebrianti emozioni della mia vita.
Vorrei averla ancora la mia Alfa Romeo, e non certo per i suoi miliardi.
(Phil Hill – da “Road & Track”)