Portello

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giuliasuper69
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Messaggioda giuliasuper69 » 18 lug 2014 14:31:38


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Sandrino
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Messaggioda Sandrino » 21 ago 2014 21:01:41

Cortile deposito veicoli industriali ‘prodotto finito’ al Portello, fine anni ‘40 . Sul piazzale si possono notare parecchi autocarri tipo 430, qualche esemplare del tipo 800 ‘civile’ (distinguibile per la cabina ed il cassone più lunghi) alcuni telai scudati, altri autobus completi (sotto la tettoia) ed un esemplare di 430 A carrozzato SIAI Marchetti.
Sullo sfondo rimane un capannone al quale si sta ricostruendo il tetto dopo i pesanti bombardamenti del 1944: è quello che l’ing. Romeo vendette, nel 1924, alla Citroën (si notino la scritta sulla parete ‘S.A. Italiana Automobili Citroën’ ed il marchio della Casa) che vi si installò con la sua filiazione italiana (sede che conserva tuttora, con ingresso in via Gattamelata) e con uno stabilimento di montaggio, allora affidato alla carrozzeria milanese Schieppati e forse all’epoca dello scatto già non più operante.

portello_industriali.jpg
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Sandrino
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Messaggioda Sandrino » 21 ago 2014 21:08:42

Immagine scattata in uno dei cortili del Portello nell’aprile 1948, rappresentante praticamente l’intera produzione della Casa in quel periodo, periodo –si osservi- nel quale l’automobile ancora non costituiva il principale ramo di attività dell’Azienda.
Possiamo notare, fra l’altro:
-un esemplare della vettura 158, posto su telaio scudato e ribassato per autobus tipo 430;
-quattro vetture 6C 2500 (Cabriolet Super Sport Pininfarina, coupè ‘Aerlux’ Touring, altra Cabriolet Sport Pininfarina, berlina A.R. ‘Freccia d’Oro’ prima versione con lunotto e finestrini posteriori piccoli);
-sui cassoni degli altri autocarri 430 e 800 vari prodotti stampati in acciaio per l’industria meccanica e ferroviaria, un esemplare della nota cucina A.R., tubi e profilati in leghe leggere, motori marini ed aeronautici;
-autobus e filobus carrozzati su telai ribassati 430 e 800.
In questo periodo, inoltre, poiché la Piaggio non era ancora completamente attrezzata per far fronte alla produzione in serie della Vespa, da poco presentata e subito accolta dal mercato in modo lusinghiero, le officine del Portello la affiancarono per la realizzazione delle scocche fin quando Pontedera non si rese del tutto autonoma.
portello_panoramic_4.48.jpg
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Andrea78
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Messaggioda Andrea78 » 21 ago 2014 22:51:10

Veramente molto interessanti le foto e le descrizioni!!

L'ultima fa riflettere... ora l' "Alfa Romeo" produce solo Minkio e Bravetta...

Giulio84
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Messaggioda Giulio84 » 22 ago 2014 01:06:41

io sapevo che al periodo la piaggio si appoggiava alla rete lancia per la distribuzione della vespa nei primissimi anni di produzione,
hai maggiori info sull'aiuto dato dall'AR nella produzione delle scocche Vespa?


all'epoca 8dal 1929 al 1969) Alfa Romeo significava anche motomeccanica (ex brevetti Pavesi e Tolotti ed ex brevetti crosti) ossia generatori elettrici, motocompressori, perforatrici, compressori stradali, macchine movimento terra, frese e lame per rimozione neve etc etc

ipotizzo che è tramite la motomeccanica che abbiano avuto i primi "rapporti" con la perkins


PS: l'archivio della motomeccanica si presenta incompleto e lacunoso, in quanto una prima parte è stata distrutta o pesantemente danneggiata durante i bombardamenti, mentre ulteriori perdite si sono probabilmente dovute a vari rasferimenti e cessioni di brevetti ed infine coi vari traslochi dal Portello ad Arese

fonte: http://www.lombardiabeniculturali.it/ar ... IBA01AD16/

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Messaggioda Sandrino » 22 ago 2014 22:44:20

Giulio84 ha scritto:hai maggiori info sull'aiuto dato dall'AR nella produzione delle scocche Vespa?


Purtroppo no, se non quanto riportato; la fonte (Stefano Salvetti - 'L'altra Alfa' - Fucina Edizioni) dà solo queste indicazioni. Immagino comunque che si trattasse di una collaborazione temporanea e terminata non appena fu possibile attrezzare lo stabilimento di Pontedera con le opportune attrezzature di stampaggio: se consideri che si trattava del primo mezzo a due ruote di grande diffusione con la scocca portante, e che per l'azienda era un pò un salto nel buio (non credo la Piaggio fosse del tutto preparata all'enorme successo della Vespa) può starci che inizialmente fossero in grado di produrre una preserie, ma non tanti esemplari quanti poi il mercato ne richiedeva.


Giulio84 ha scritto:all'epoca (dal 1929 al 1969) Alfa Romeo significava anche motomeccanica (ex brevetti Pavesi e Tolotti ed ex brevetti crosti) ossia generatori elettrici, motocompressori, perforatrici, compressori stradali, macchine movimento terra, frese e lame per rimozione neve etc etc


Se non ricordo male la Motomeccanica aveva degli impianti in zona Portello, impianti che poi l'Alfa utilizzò per assemblarvi i Romeo fin quando la produzione dei commerciali passò interamente a Pomigliano: confermi?

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Messaggioda Giulio84 » 23 ago 2014 12:40:56

l'unico indirizzo della motomeccanica che conosco è quello di via Oglio 18

non escludo (ma non ho elementi su cui ragionare) che in situazione di ricostruzione post bellica possano aver !affittato" strutture rimaste integre da altre società, magari gravitanti nell'orbita degli aiuti IRI

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rossogamba
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Messaggioda rossogamba » 09 ott 2014 20:37:20


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Messaggioda rossogamba » 09 ott 2014 20:42:32


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Messaggioda giuliasuper69 » 14 ott 2014 17:06:06


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Messaggioda giuliasuper69 » 25 ott 2014 19:28:58


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Messaggioda rossogamba » 08 nov 2014 20:45:32

Reparto forge

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Messaggioda rossogamba » 28 nov 2014 20:11:41

In occasione dei 70 anni dal bombardamento del Portello, riporto questa testimonianza dell'Ing. Garcea tratta dal suo libro "La mia Alfa".
E' un po' lunga da leggere ma la dice lunga sull'umanità di queste persone che hanno creato il mito Alfa Romeo ancora oggi pieno di forza.

[ img ]

Mancava poco a mezzogiorno quando quel 20 ottobre del 1944, a Milano le sirene dell'allarme cominciarono a ululare. La cosa non preoccupò molto. Erano soltanto gli allarmi notturni che venivano presi sul serio: quasi tutti saltavano giù dal letto. I più timorosi uscivano col cappotto infilato sul pigiama; i più tranquilli si vestivano da capo a piedi. Molto spesso sceglievano, giudicata più sicura, la cantina della casa vicina. Per la strada potevano vedere già la città illuminarsi sotto ai bengala che scendevano lenti, appesi ai piccoli paracadute: potevano sentire i primi scoppi. Di giorno invece durante l'allarme poche volte a Milano si era fatto vivo “Pippo”, il caccia inglese specialista in mitragliamenti da bassa quota: in quei casi bastava un portone per sentirsi al sicuro.
Mentre ancora le sirene stavano ululando quel 20 ottobre del 1944 Orazio Satta passò a prelevarmi in ufficio: “Approfittiamo per andare a colazione”. Attraversammo tutto lo stabilimento fino alla portineria di via Gattamelata. Molti si avviavano con calma ai sottopassaggi di accesso alle cinque o sei torri-bunker in cemento armato, allineate in via Renato Serra: cinquecento persone ciascuna, sulle panche che arredavano le rampe elicoidali interne. Ma molti preferivano uscire anche quella volta, come noi; e allontanarsi, godendosi il sole, dall'obiettivo dell'eventuale incursione, lo stabilimento.
Che quell'allarme fosse diverso dagli altri ci accorgemmo subito imboccando viale Teodorico: in fondo al viale, oltre i platani di piazza Firenze, bassa sull'orizzonte per la lontananza, stava sfilando una grossa formazione di bombardieri. Affievolito dalla distanza e ritmato come al solito dai battimenti ci perveniva il rombo dei motori e delle eliche. Si continuava a camminare. Orazio ed io, con l'occhio fisso a quella visione, stupiti e quasi increduli.
Quella formazione compatta aveva attraversato in un paio d'ore nel sole tutta l'Europa: la caccia tedesca, evidentemente già decimata, non l'aveva disturbata. Potevano essere, in quel momento, nel cielo di Sesto San Giovanni.
D'improvviso una piccola stella bianchissima brilla in mezzo alla formazione. Faccio partire il cronometro al polso. Dopo venti secondi si leva dal suolo là in fondo una grande nube giallastra: “Quella stella luminosa era il segnale di sgancio: si potrebbe calcolare la quota della formazione”. Mentre passiamo davanti all'Ospizio dei Piccoli di Padre Beccaro giunge a noi il boato delle esplosioni. Dai locali dell'Ospizio gli orfanelli sono sfollati da parecchio; al loro posto ci sono ora gli uffici di progettazione dell'Alfa, rientrati a Milano dopo lo strano decentramento sul lago d'Orta. Appunto di impiegati dell'Alfa sono affollate le finestre dell'Ospizio che danno sulla strada: guardano tutti verso la lontana nube gialla. Ci affacciamo anche noi poco dopo alle finestre sulla strada, al quarto piano dello scalone. Però ora giù in istrada la gente sta scappando da tutte le parti. Da quelle finestre il cielo appare sgombro. La spiegazione l'abbiamo subito alla finestra del pianerottolo verso Nord: alta su di noi nell'azzurro intenso del cielo punta diritta verso di noi una perfetta formazione di argentei quadrimotori. E' uno spettacolo. Quanti saranno? Ventiquattro? Quarantotto? Ma ecco che improvvisa appare in mezzo alla formazione la stella luminosissima.
“Abbiamo venti secondi di tempo!” grido. Divoriamo in discesa tutte le rampe e tutti i pianerottoli dello scalone: dietro a me Orazio; il signor Curtani ed altri tre o quattro. Ho un attimo di incertezza nell'atrio al pianterreno: infilare le scale verso la cantina? Oltre la porta a vetri spalancata sul cortile c'è il cortile a pochi metri il piccolo bunker in cemento armato, vuoto con la sua porta aperta. In quella garitta da guardiano ci precipitiamo accalcandoci l'uno sull'altro. Per tirarmi dietro la porta che è pesante, anch'essa di cemento armato, entro per ultimo.
Siamo in troppi, in sei o sette; la porta non si chiude del tutto (qualche giorno dopo ricordo che Orazio si fece visitare: nella calca del bunker si era rotta una costola). Ventate rabbiose attraverso la fessura ci dicono subito che fuori esplodono le bombe. Ad ogni ventata sembra che la porta voglia aprirsi ma subito si richiude costipandoci. Grazie alle pareti in cemento nel ricordo il rumore degli scoppi è quasi nullo. Dopo una manciata di secondi al buio e in quella scomodissima nostra posizione le ventate cessano. “Le squadriglie sono passate, usciamo!” esclamo. Anche fuori ora c'è buio, per il polverone fitto e chissà quanto spesso che le bombe hanno sollevato sbriciolando muri e terreno. Nell'atrio dell'ospizio intravedo un gran buco nel pavimento e dò l'allarme per quelli che sono dietro a me. “In quel buco ci son già cascato io”, dice qualcuno. E' Monsignor Sodini, l'anziano direttore dell'orfanotrofio che all'Alfa è di casa perchè l'ingegner Gobbato cede all'officina degli orfanelli le vecchie macchine utensili oramai obsolete. Sta venendo su dalla cantina, Monsignor Sodini, aiutato da una suora. Nella caduta si è soltanto rotto un dito; ed ora avanza sostenendosi quella mano col dito rovesciato verso l'alto, come se portasse il Santissimo in processione.
Cosa sarà successo ai nostri all'Alfa, nei nostri reparti? Di corsa rientriamo all'Alfa, riattraversiamo lo stabilimento, scansiamo le macerie. Lungo quel percorso non scorgiamo vittime. Orazio sale su agli uffici di progettazione; nel reparto Esperienze fra i calcinacci trovo stralunato il signor Cassani. Era rimasto tranquillo a lavorare; al piovere delle prime bombe era corso giù ad appiattirsi al muro in un angolo del sottopassaggio. In mezzo al reparto una bomba ha sollevato un piccolo tornio che ora contempliamo appollaiato su una capriata del tetto. Ci raggiunge l'unico operaio che, rimasto in reparto, dice che si è salvato ficcandosi sotto al grande piano di riscontro di ghisa. A questo punto la sirena del cessato allarme ci confortò. Pochi secondi dopo ulularono le sirene dell'allarme grave e ricominciarono a piovere le bombe: contro al muro in un angolo del sottopassaggio, abbracciati per farci coraggio, io, il signor Cassani e il signor Gazzotti (era il capo del vicino reparto radiatori) aspettammo che passasse questa seconda ondata. Poi riprendemmo la perlustrazione.
Nel cortile della sale prova d'aviazione ci aveva preceduto l'ingegner Gobbato. Aveva capelli ed abiti coperti di polvere di calcinacci perchè stava scendendo dallo scalone della Direzione quando la palazzina era stata colpita da una delle bombe della prima ondata. Ne aveva anche respirata molta di polvere: con l'acqua della vasca dei pesci cercava di fare i gargarismi.
Poi pian piano cominciarono ad arrivare notizie sulle vittime trovate sotto alle macerie: nello stabilimento più di cinquanta. Il piccolo Sant'Antonio luminoso che l'ingegner Gobbato teneva in cima ad uno scaffale del suo ufficio doveva essere intervenuto dato che le bombe da 500 libbre cadute al Portello furono più di duecento! Ricordo il foro sul terreno accanto ad una delle torri-bunker di via Serra: la bomba era esplosa nel sotterraneo di accesso alla torre, affollato di ritardatari. Attraverso il foro della bomba le salme venivano portate sulla strada e disposte attorno al foro come i petali di una grande margherita.
La storia della bomba caduta sull'ospizio di Padre Beccaro l'appresi l'indomani da testimoni oculari. Quel mezzogiorno mentre io e Orazio salivamo le rampe dello scalone l'ingegner Pavesi, che era già sul pianerottolo dell'ultimo piano, approfittò di una scala a pioli lasciata lì dai muratori: assieme ad altri uscì da una botola sul terrazzo dell'edificio, per vedere ancora meglio. Ammirarono la formazione pensando fosse “di passaggio”; si chiesero cosa fosse la stella luminosa; si chiesero poi se fossero volantini propagandistici quegli oggetti che sfarfallavano luminosi sotto gli aerei. Quando compresero che quelle erano bombe si affollarono alla botola. La bomba aprì un buco circolare sul terrazzo facendoli solo sobbalzare; poi bucò uno dopo l'altro tutti i pianerottoli della scalone (che noi avevamo appena percorsi nella discesa precipitosa); a pianterreno la bomba era quasi orizzontale e il buco nel pavimento fu delle dimensioni di una vasca da bagno. In quel buco appena fatto si infilò Monsignor Sodini. Arrivato di corsa dalla strada aveva visto un'ombra scura scendergli davanti, non si era potuto fermare. In cantina si trovò a cavallo della bomba le cui lamiere nell'urto sull'impiantito si erano aperte: la balistite era sfarinata tutta attorno. Mi dissero che la sicurezza di quelle bombe veniva tolta durante la caduta dall'aria che faceva girare un'elichetta. In quella bomba l'elichetta non girava bene. Qualcuno disse che era stata tenuta ferma dal ditino dell'angelo custode di uno degli orfanelli. Senza quel ditino la storia dell'Alfa sarebbe stata un po' diversa: nell'edificio colpito dalla bomba c'erano quasi tutti quei progettisti e disegnatori grazie ai quali nacquero poi la 1900, la Giulietta, la Giulia.
Purtroppo quel mattino funzionò bene l'elichetta di un'altra bomba (fra le tante sganciate dalla squadriglia da noi intravista nel cielo di Sesto) che cadde sulla scuola di Gorla e uccise quasi duecento bambini.

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Messaggioda lucaar227 » 28 nov 2014 22:01:42

Dopo la Fiat il portello era uguale .....

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rossogamba
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Messaggioda rossogamba » 30 nov 2014 18:49:14


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Messaggioda giuliasuper69 » 10 dic 2014 16:02:08

Entusiasmante parata
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Messaggioda rossogamba » 09 gen 2015 21:36:04

Stoccaggio motori aeronautici dopo il bombardamento del '44

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lucaar227
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Messaggioda lucaar227 » 09 gen 2015 21:48:15

Almeno dopo il bombardamento qualcosa restava, dopo il passaggio della FIAT neanche più quello

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Giovanni
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Messaggioda Giovanni » 12 gen 2015 12:10:52

Avere uno di quei motori stellari in salotto....

Giulio84
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Messaggioda Giulio84 » 12 gen 2015 17:01:49

questi l'hanno in garage ed ogni tanto lo accendono :D

https://www.youtube.com/watch?v=Anaz8UMFkbs


qui trovi gli altri filmati con le fasi del restauro
https://www.youtube.com/user/19gennaio1968/videos


Righini, sul suo sito ne ha inserzionati due

115 Ter
http://www.righiniauto.it/occasioni/alf ... 5-ter.html

radiale 135RC.32
http://www.righiniauto.it/occasioni/alf ... rc.32.html


ha inserzionato anche un motore marino
http://www.righiniauto.it/occasioni/alf ... arino.html


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